venerdì 22 marzo 2013

Todorov, Kafka e l'Harlem Shake

Fonti: http://www.youtube.com/watch?v=nA4sBDVnJ7k



"Ogni volta che guardo un Harlem Shake la domanda è sempre una sola: why?"
Queste le parole con cui un mio amico rispondeva alla violenta condivisione dell'ultima tendenza di youtube.

Per quanto al riguardo si possa iniziare una lunga digressione sui meme, o sull'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica, ho deciso piuttosto di seguire una certa intuizione, complici anche le letture sull'arte fantastica delle ultime settimane, per rispondere a questa domanda. Perchè l'Harlem Shake?

Per spiegare perché però, dobbiamo prima farci un'idea del cos'è l'Harlem Shake.
Direi che è un template, una forma, un'idea che si realizza in una serie di cortometraggi che nella loro eterogeneità mantengono una regola che ne descrive la struttura e ne permette la ricognizione.

Un video è ascrivibile alla categoria dell' Harlem Shake in quanto rispetta i seguenti criteri:

1)  La colonna sonora è sempre lo stesso frammento di una canzone piuttosto discutibile che sincretizza i caratteri del tamarro più consolidato ad un'idea di dubstep.
2) La situazione mostrata nella parte iniziale del video ha sempre carattere ordinario, collettivo e costrittivo. Ordinario perchè nasce non come prodotto di finzione ma come finzione che si impone su una scena tratta dal quotidiano, che non è rappresentazione del quotidiano ma quotidiano reale. Non scelgo il set degli spogliatoi, non assumo militari o attori per recitare, ma la prima scena, come nei video amatoriali o nel cinema documentario, non va oltre quello che è: la testimonianza di un reale. Collettivo perchè è nel contagio - che parte dal singolo per diffondersi sugli altri - che si concretizza l'effetto del buffo, dello strano, del fantastico. Costrittivo perchè come vedremo lo scopo primo di questo genere di opera è proprio quello di uscire dalla costrizione.
3) Ad un certo punto si da l'epifania. Un elemento di disturbo, di differenza, un elemento del tutto estraneo alla situazione fa irruzione a tempo di musica.
4) L'epifania culmina in uno stacco. Con l'irruzione del ritmo, con l'ampio respiro del basso, la situazione iniziale, familiare, viene del tutto sovvertita ed ognuno è libero di dare sfogo alla fantasia, alla capacità creativa, all'espressione libera di corpo e mente finalmente riuniti come in una sacra orgia dionisiaca.
5) Il video finisce sfumando, senza che avvenga un ripristino della situazione iniziale, lasciando che il contagio, dall'elemento di disturbo, pervada anche la mente dello spettatore.



Ma che c'entrano dunque Todorov e Kafka con i tamarri?
Visto che questa domanda esige una risposta, cito un pezzo di Todorov tratto da "La letteratura fantastica":


"[...] ogni racconto è un movimento tra due equilibri simili, ma non identici. All'inizio del racconto, vi è sempre una situazione stabile. I personaggi compongono una configurazione che può essere mobile, ma che ciò nonostante conserva intatto un certo numero di caratteristiche fondamentali. [...] Sopravviene successivamente qualcosa che rompe questa calma, che introduce un squilibrio. [...] Alla fine della storia […] l'equilibro è dunque ristabilito, ma non è più quello dell'inizio."

E ancora:


"Ogni rottura della situazione stabile è seguita, in questi esempi, da un intervento soprannaturale. L'elemento meraviglioso viene ad essere il materiale narrativo che adempie nel miglior modo a questa funzione precisa: portare una modificazione nella situazione precedente, e rompere l'equilibrio […] stabilito."

Se dunque per Todorov è centrale la rimessa in discussione del discrimine tra reale e irreale, a lui stesso risulta se non problematico almeno singolare il procedimento operato da Kafka nella Metamorfosi. In quest'ultimo infatti manca il reale iniziale, quel reale che è espressione psicologica - in letteratura e in arte in generale - del principio di realtà. Con Kafka siamo proiettati in un mondo che è già riconosciuto come impossibile. Il ritorno al reale però è dato, alla fine del racconto, con la tragica fine del Samsa e la restituzione dell'ordinario.
Nell'Harlem Shake ci troviamo di fronte ad un caso analogo, anche se rovesciato. Non manca la situazione iniziale, che spesso è una giornata di lavoro, uno spogliatoio, una casa di gente annoiata: ma viene a mancare l'abbassamento, l'imposizione della realtà che lancia il suo diktat incontrovertibile: "Tornate a lavoro!". No, lo Shake ci lascia la libertà di rimanere in quel mondo trasfigurato, riempito di colori, che ricorda una Kundalini privata dalla truffa new age, una danza libera che non costringe la sua libertà nello spirito, ma la concretizza nel reale.

L'Harlem Shake rappresenta l'apertura di senso, una testimonianza del disperato tentativo di fuggire la realtà. E' la liberazione dell'immaginario concretizzato nell'azione, a livello di massa e non piu relegato all'immaginazione dell'artista o dello spettatore. Ancora una volta, nella letteratura fantastica in cui una situazione reale, normale, viene sovvertita da un avvenimento soprannaturale, questa sovversione è una tragressione che dà occasione di superare certi tabù psicologici o sociali.

Lo Shake è il vaso di pandora che una volta aperto non può più essere richiuso e in esso trova espressione un sentimento che porta al di la del reale, in un mondo del possibile.

Una testimonianza massificata, assieme alle psicosi, al fenomeno della droga, a tutto il resto dell'arte, di quel sentimento di negazione verso tutto ciò che è imposto: sia esso un lavoro, una guerra o la realtà in generale. Un atto rivoluzionario che non si lascia riassorbire da un semplice: "è solo una moda".

martedì 5 marzo 2013

iertop


potrei anche vagare le più assurde notti frugando una bava d'amore verde di fumo comprato da gente che nasconde le mani alla luce dei fanali 
potrei anche cancellare le tracce di ogni momento di pianto di sogno di gemelli che ho gettato nel fiume riempiti di sassi 

potrei anche farmi arrestare le sere d'inverno con mani piene di soldi e di sangue e contromano schiantarmi sul molo
potrei anche cantare e ballare e sentire la mente che scema al ritmo di trombe d'ottantanni passati e forse di più
potrei anche mangiare silicio e ogni mattina respirare copertoni bruciati rivoltando nel letto le spalle a mani legate
potrei anche sentire ansimare una donna e macchiare lenzuola di urla e di sperma
potrei anche scordami le note
e sparire le parole
e lasciare che parlino

domenica 27 gennaio 2013

lorem ipsum

ma da sola la forma cos'è
sepolta com'è
sabbia sotto la sabbia?

martedì 22 gennaio 2013

il feedback positivo nell'educazione universitaria


Quattro anni di studi
e mi hanno impiccato
alla corda della pazienza

batto sulla tastiera questa musica
senza sapere perché.

sarà arrogante,
sarà come vi pare:

non c'è niente di più triste
della torre d'avorio

fortuna che almeno una volta il giorno
devo pulirmi il culo
che di certo
è più gratificante.

lunedì 3 maggio 2010

dopo tutto il compito dei rami è allontanarsi dalle radici

Ho scritto pensieri con le ali
perchè potessero volar via dalle vostre mani ingorde,
lontani dalla vostra ingordigia di aver già capito.
Dalla vostra superficialità.

Ho scritto ciò che pensavo davvero
solo se dopo potevo distruggerlo.
L'ho custodito gelosamente, lontano da tutti.

Ho fatto pensieri orribili, e li ho lasciati scivolare sopra di me,
non sapendo che si sarebbe aggrappati con tutta la loro forza,
e che i loro artigli avrebbero lasciato cicatrici indelebili.

Ho fatto sogni strani, e sono stato sulla torre di babele.
Ma c'ero solo io e tutte quelle lingue diverse.

Mi sono allontanato dalle mie radici più che potevo,
e gli ho sputato
e le ho insultate,
non sapevo che sarei stato in balia del vento.

Ho guardato dentro di me
ma non ho visto niente.

Di luce ce n'è poca,
e non ho voluto che i miei occhi si abituassero:
Il sole mi avrebbe fatto male.

Ho combattuto per la libertà
ma mi sono ritrovato prigioniero lo stesso.

E tutte le cose più belle
le ho scritte nell'aria
lontano dalla mia testa piena di voi,
lontano da voi,

sabato 24 aprile 2010

la notte, l'edera e l'uva

Intorno, tutte le cose brillavano di esistenza propria.
Non c'ero io in quelle cose.
Sapete di cosa parlo?
La visione utilitaristica delle cose. L'uomo al centro del mondo.
Ecco, questa è la normalità.

Normalmente, vedo penso considero un'altra cosa in rapporto a me soltanto.
Quanto è lontana da me.
A cosa mi serve.
E' o non è mia.
Posso o non posso.
Mi è utile o meno.

No, no, no.
Non è per tutto questo che ci han dato il mondo. La cose sussistono di per sè,
il nostro egocentrismo non è che riflesso della corruzione della nostra natura animale.

Catapultati fuori dallo stato di natura, ci troviamo immersi in una folle corsa, guidata da quel burattinaio chimico che è il sistema della ricompensa.

Ogni giorno a correre dietro qualcosa, ci inventiamo desideri nuovi e come in una fiaba facciamo quelle scelte che sembrano portarci al lieto fine.

Ma il mondo non è mica nato per questo. Non è nato per assecondare quel viziaccio degli uomini, di intrufolarsi sempre da ogni parte.

Quasi in movimento ameboide, fagocitiamo al nostro interno tutto lo splendore della natura. Ricopriamo tutto col nostro visciudume.
Sporchi, viziati, malvagi e insensibili.
Persone.

Lascia che il mondo faccia il suo corso.
Smetti di ripensarti come termine ultimo di tutto ciò che ti tocca.
Smetti di desiderare, smetti di volere, smetti di pretendere.

Apri gli occhi e guardati intorno. Devi scappare dalla subordinazione al concetto, scappare dallo spazio e dal tempo.

Contaminiamo tutto quanto con la nostra ragione. Ah, se Socrate non fosse mai nato!
Corruttore di giovani, spirito Apollineo, sole marcio della ragione.

Dov'è finito Dioniso, dov'è il suo banchetto?
Non trovo più la gioa nella notte.

domenica 7 marzo 2010

Australia

C'è chi le rotonde le prende tutte a diritto senza mai guardarsi intorno, e ci siamo noi che le rotonde ci garba girarle, farle almeno due o tre volte. Così, per vedere un po che c'è, per essere sicuri di prendere la strada giusta. Solo che certe volte le indicazioni non si vedono bene, o proprio non ci sono. E allora succede che ci si perde. Cioè si rimane bloccati, si continua a girare e non si decide mai quale scegliere. E più che si gira, più è difficile decidere.